Attualità

Riscoprire il valore della cura per generare futuro consapevole, grande partecipazione al convegno in Cattolica

Educare alla cura vuol dire educare alla relazione con l’altro. Riconoscerne il valore e le fragilità. Vuol dire riconoscere e custodire il valore della memoria per essere in grado di generare un futuro migliore. Quest’anno l’annuale convegno organizzato dalla Facoltà di scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza ha puntato i riflettori sul tema della cura.

Cura intesa come cura di se stessi, dell’altro, del mondo che ci circonda ma anche cura della memoria del passato come motore per generare un futuro migliore. Il convegno, ospitato nel campus di Piacenza, è stato suddiviso in due parti, introdotte dai saluti, in video-collegamento, del preside di Facoltà, Domenico Simeone, e ha visto la partecipazione anche di tanti studenti e studentesse di scuole del territorio.

Tra i temi toccati dal preside quello della memoria. «Ricordare – ha detto – vuol dire riportare al cuore». «Essere custodi della memoria – ha aggiunto Simeone – vuol dire generare gratitudine verso quello che abbiamo ricevuto e poi trametterne i valori verso quel futuro che abbiamo la responsabilità di dover costruire». Durante la prima parte del convegno il tema è stato affrontato da diversi punti di vista, portati dai singoli relatori che si sono alternati, per poi lasciare spazio, durante la seconda parte, a testimonianze.

«Curare significa riconoscere la singolarità della persona, valorizzarne i talenti e accompagnarne le fragilità» ha detto la coordinatrice del corso di laurea in scienze dell’educazione e della formazione, Paola Ponti, nell’introdurre i lavori insieme al direttore di sede Piacenza Cremona dell’Università Cattolica, Angelo Manfredini. Quest’ultimo ha parlato di «Università della cura, intesa come luogo in cui la persona è messa al centro e dove ci si prende cura responsabilmente l’uno dell’altro».

«Una parola semplice la cura ma che nasconde una grande complessità» ha sottolineato Maria Letizia Bosoni, professoressa associata di sociologica dell’Università Cattolica del Sacro. «Significa – ha aggiunto – farsi carico dell’altro, abitare un legame una relazione con l’altro».

A Bosoni il compito di moderare i vari relatori durante la prima parte del convegno, ognuno dei quali ha declinato il termine cura secondo il proprio vissuto e la propria professionalità. Michele Filippo Fontefrancesco, professore associato di antropologia dell’Università Cattolica ha puntato i riflettori sulla cura degli spazi e dei luoghi in cui si vive, mentre Paolo Valvo, ricercatore di storia contemporanea in Università Cattolica ha focalizzato l’attenzione sull’importanza della cura della memoria, soprattutto della memoria condivisa.

Ad Alessandra Gerolin, professoressa associata di filosofia morale dell’Università Cattolica il compito di focalizzare l’attenzione sul tema del mutuo riconoscimento: «Essere riconosciuta nel proprio valore consente alla persona di avere autocoscienza di sé» ha spiegato Gerolin.

La seconda parte ha lasciato spazio a testimonianze personali, come quella della regista Chiara Callegari (Knk teatro), di studenti e studentesse (attuali ed ex) moderati da Anna Paratici, coordinatrice delle attività di tirocinio della Facoltà di scienze della formazione.

A tirare le fila è stata Linda Lombi, professoressa associata di sociologia dell’Università Cattolica. A lei il compito di focalizzare l’attenzione su cosa non può definirsi cura.

«Non lo è – ha detto Lombi – la cura intesa solo come atto declinato al femminile e non lo è se pone attenzione solo al fare per, e non all’essere con». «Infine – ha aggiunto – non lo è se eroicizza chi si prende cura, come i care giver, deresponsabilizzando il resto della collettività».

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