Gigi Cagni ed il Piacenza calcio: una lunga storia d’amore
Dai chili in sovrappeso di Carannante, alla battaglia contro chi lo accusa di essere difensivista. Dalle urla in bresciano a Piovani, alla lite con Papais. Dalla paura dell’aereo del DS Marchetti, ai video del Piacenza fatti vedere a Caracciolo nel suo ultimo Brescia. Dall’amore verso l’Ingegner Garilli, per arrivare al figlio che voleva Moretti in campo.
Questa è la storia piacentina di Luigi (ma per tutti Gigi) Cagni, che su StadioSoundTv si è raccontato ad Andrea Crosali ed Andrea Amorini. Una domenica di grande amarcord per tutti i tifosi del magico Piacenza calcio che negli anni ’90 raggiunse il sogno della serie A.
“Mio figlio mi ha obbligato a smettere di giocare. Mi disse: “papà, ma non ti vergogni a giocare così?”. Allora riguardai la cassetta, andai da Corioni e gli dissi: “arrivederci e grazie”.
Parte così il fiume in piena di Gigi Cagni, che in un’ora di chiacchierata amichevole rivela tanti aneddoti del suo Piacenza, quello della doppia promozione.
“Venire a Piacenza non è stata una scelta facile. Dopo aver incontrato Marchetti ad Ospitaletto avevo lasciato un bell’effetto, tant’è che mi disse: «A Piacenza vogliamo vincere il campionato, hai 24 ore per decidere». Accettai l’incarico esattamente il giorno dopo.
Il primo anno avevo tanti giocatori forti, da Braghin ad Occhipinti. Dopo la preparazione ho cominciato a valutare le nostre possibilità di vincere. Il nostro obiettivo era non prendere gol, anche perché davanti segnavamo tanto. Tra Cornacchini e Cappellini, i gol arrivavano. Per cui avevo preparato una squadra compatta, correndo meno rischi possibili.
“Sì, lo sapevo. Mi fidavo ciecamente di loro. Con Piovani poi, c’è un rapporto di lungo corso. Iniziai a vederlo nella primavera del Brescia e me lo portai a Piacenza. Le qualità si vedevano ad occhio nudo. Mentre Papais fu una scoperta, ma con il sociogramma (scoperto nel corso a Coverciano dove finì 28esimo su 30 allievi ma fu l’unico a riuscire ad allenare) capii che era il leader. Aveva sempre la testa bassa, ma ascoltava tutto. Litigammo e poi nacque l’amore”.
“La mia forza era preparare le squadre al dettaglio, e grazie alle sperimentazioni raggiungemmo un sistema di allenamento perfetto. Sapevamo di migliorare i giocatori con la nostra idea di lavoro quotidiano. Il 4-3-3 era il modulo migliore, anche perché Marchetti mi prendeva giocatori funzionali. Passavamo tutte le estati in sede per costruire la squadra dell’anno successivo. Mi ha fatto perdere 6 anni di vacanze (ride, ndr)”.
“L’acquisto di Lucci è stato determinante, sotto tutti gli aspetti.
Insistevo sui concetti offensivi come i gol sulle palle inattive o dopo un cross. In allenamento facevamo sempre le partitine a tre tocchi con gol valido su cross e tiro da fuori.
Ho inventato il cross sul primo palo grazie alla mia esperienza sul campo. Da giocatore, quando facevo il libero, mi dava fastidio la palla sul primo palo, per cui ho rotto le scatole ai giocatori di crossare in quella zona, anche senza guardare”
“Ho ancora voglia di allenare, però dopo aver rifiutato il Brescia non voglio più fare scommesse. Il sistema non mi permette di ritornare, anche perché senza procuratore non vai da nessuna parte. Io il procuratore non lo voglio e non mi piace cambiare il mio modo di essere, essendo bresciano e testone”.
“Eravamo sicuri di andare in serie A. Non avevamo pressioni, sia nelle vittorie che nelle sconfitte, ed a livello psicologico era un vantaggio. Inoltre, c’era una società solida grazie all’Ingegnere. Era una persona incredibile. Lui, Marchetti e Quartini erano un trio pazzesco. Tutto girava alla perfezione, ed io potevo fare quello che volevo.
“Li minacciavo (ridendo, ndr). Le regole pagano sempre, ed il rispetto è determinante. Io gli spiegavo come bisogna fare il mestiere, dimostrandogli di aver ragione. Gli davo le regole per 15-20 giorni, poi lasciavo a loro la decisione di rimanere o andarsene. L’anno di serie C ho capito che potevamo vincere il campionato dal ritiro: tutti i giocatori si fermarono una settimana in più del dovuto”.
“Si!”
“Quella più bella è stata a Cesena, perché è stata l’unica dove non ho dovuto parlare. Mi son seduto, ho goduto ed abbiamo vinto con un gol di Papais. Giocammo benissimo.
Però a Piacenza è impossibile scegliere il mio momento migliore. In 6 anni mi sono emozionato ogni singolo giorno per merito di tutti: società, giocatori, famiglia e tifosi. Non posso scegliere, è troppo difficile.
Anzi, forse un momento c’è. Quando dovettero scegliermi, dopo un solo minuto che ci eravamo seduti a tavola, Quartini disse: “l’è dei noster”.
La diretta integrale di StadioSoundTv, con Gigi Cagni
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