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La Piacenza che era, Vittorio Sgarbi: “Una mostra che ci fa camminare con nostalgia in una città che in parte non c’è più” – FOTO

«Questa mostra ci fa camminare in una Piacenza che in parte non c’è più e che riviviamo attraverso i quadri e le fotografie, facendoci provare una struggente nostalgia, perché il più delle volte i cambiamenti sono peggiorativi. Per vostra fortuna la città non ha subito particolari “violenze”». Così Vittorio Sgarbi, ospite a sorpresa del partecipato momento inaugurale – tenutosi al PalabancaEventi, in Sala Panini, con le sale Verdi e Casaroli videocollegate – della mostra “La Piacenza che era”, allestita dalla Banca di Piacenza nel Salone dei depositanti e nelle sale Carnovali, Raineri e Douglas Scotti, visitabile da domenica 19 dicembre e fino al 16 gennaio.

Il critico d’arte ha riferito di essere stato colpito dalla bellezza di alcuni dipinti, Il vecchio che mangia la zuppa di Francesco Ghittoni («pittore di grande umanità e sentimento») e Piazza dei Cavalli di Federico Moja («forse il più bello della mostra») ed ha elogiato la qualità del catalogo: «Mi ha accompagnato, con i suoi testi ricchi di informazioni interessanti e le numerose illustrazioni, nella conoscenza più approfondita di Piacenza. E’ utilissimo, ben fatto e ben stampato, migliore di quelli che curo io e bisognerebbe realizzarne uno per ogni città italiana».

Al termine dell’intervento dell’illustre ospite, i presenti hanno visitato la mostra permanente dedicata a Francesco Ghittoni e le altre sale del primo piano del PalabancaEventi, soffermandosi soprattutto sullo studio preparatorio dell’Annunciazione di Ignazio Stern (il prof. Sgarbi curerà per la Banca una mostra sul pittore del ‘600, nell’ambito delle manifestazioni dedicate ai 500 anni dalla posa della prima pietra della Basilica di Santa Maria di Campagna) e sono poi scesi nel Salone dei depositanti per vedere in anteprima “La Piacenza che era”, allestita da Carlo Ponzini, responsabile anche della parte grafica.

Il critico d’arte era stato introdotto dalla curatrice Laura Bonfanti, che aveva brevemente illustrato le caratteristiche della rassegna (un viaggio da inizio Ottocento fino ai giorni nostri attraverso l’esposizione di numerosi quadri – tra gli artisti in mostra, Hippolyte Sebron, Jacques Carabain, Giovanni Migliara, Federico Moja, Luciano Ricchetti, Elvino Tomba, Bruno Sichel, Ernesto Giacobbi, Bot – che ritraggono appunto parti della Piacenza di una volta che non ci sono più: iniziando da Piazza Cavalli, per proseguire con le Piazze Duomo, Borgo, Sant’Antonino e Cittadella; sono poi presenti importanti edifici religiosi, tra cui la basilica di Santa Maria di Campagna, le chiese oggi sconsacrate delle Benedettine e di Santa Margherita; si incontrano infine i rioni Cantarana, Porta Borghetto e Muntä dí ratt. Completano l’esposizione una serie di fotografie e cartoline d’epoca. Sotto ad ogni quadro e ad ogni fotografia (in totale oltre 100 pezzi), una didascalia segnala in che cosa differiscono gli scorci di città rappresentati rispetto all’aspetto odierno.

L’inaugurazione era stata aperta da Francesca Chiapponi con la lettura della poesia Piaseinza, di Valente Faustini.

Agli intervenuti è stata consegnata copia del catalogo della mostra, che è sostenuta dalla sola Banca, non gode di alcun finanziamento pubblico e quindi non grava sulla comunità.

COME VISITARE LA MOSTRA

“La Piacenza che era”, dal 19 dicembre al 16 gennaio – PalabancaEventi, via Mazzini, 14. L’ingresso è libero per Soci e Clienti della Banca. Per i non clienti ingresso con biglietto nominativo scaricabile esclusivamente dal sito www.bancadipiacenza.it. Sono previste visite guidate per scuole e associazioni (prenotazioni all’Ufficio Relazioni esterne tel. 0523 542137; relaz.esterne@bancadipiacenza.it). Orari: dal martedì al venerdì dalle 16 alle 19; sabato e festivi dalle 10 alle 12.30 e dalle 16 alle 19 (giorni di chiusura 24, 25, 31 dicembre e 1 gennaio). Per l’ingresso, sulla base delle vigenti disposizioni inerenti le mostre, è necessario esibire il Green Pass, indossare la mascherina e tenere poi il distanziamento interpersonale.

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