“Non c’è più nessun viaggio a Parigi, né altrove. Forse mi farò quel tatuaggio, ma per ora sento solo il vuoto, io sono morta con te su quella terrazza piccola mia anche se respiro ancora. Ti amo e ti amerò sempre”. Morena Corbellini, la mamma di Aurora Tila, ha voluto scrivere una lettera alla sua bambina. La sua bambina morta a 13 anni il 25 ottobre 2024 dopo essere precipitata dal balcone di casa sua. Della morte di Aurora è accusato un ragazzino di 15 anni, un ragazzino che era stato il fidanzatino di Aurora. Una lettera che la mamma di Aurora ha inviato a Radio Sound con l’obiettivo di renderla pubblica.
Morena è stata additata per come ha affrontato mediaticamente la tragica vicenda della morte di sua figlia: “Non piange mai”, diceva qualcuno. Ebbene, chi ha avanzato questi dubbi, queste perplessità, queste critiche, evidentemente non ha mai avuto la fortuna di sedersi a un tavolo con lei. Perché Morena è come…un cubetto di ghiaccio. Passatemi questo termine, ma è la metafora più adatta quando si parla di lei. Le stringi la mano, la saluti, ti presenti. E l’impressione in effetti è quella: una donna dura e fredda. Ma come tutti noi sappiamo, se lasci il ghiaccio fuori dal freezer per un po’ di tempo, esso inizia a sciogliersi.
E se a Morena parli di Aurora per più di cinque o sei minuti quel freddo e quella durezza iniziano progressivamente a svanire. Prima cerca di trattenere il dolore coprendolo con un velo di grinta poi, parola dopo parola, il dolore si fa largo, spinge, strattona, fino a uscire. Elude il controllo di questa donna provata dalla vita, si insinua tra le fessure di questa armatura e trabocca, in forma di lacrime e voce tremolante. Perché si può essere duri, grintosi, orgogliosi: ma la sofferenza di una madre che ha perso una figlia è incontenibile, inimmaginabile.
Quando le faccio notare il suo coraggio, la sua risposta mi disarma: “Adesso ho la grinta di combattere perché ho tante cose per cui combattere: ma quando queste battaglie saranno finite ho il timore di quello che potrebbe accadere al mio cuore”.
Morena ha scelto di sfogare il suo dolore in una lettera, che però non è solo uno sfogo. Morena crede in Dio, non ha mai smesso di farlo, e crede che Aurora sia ancora qui, in un’altra forma, certo, ma ancora in grado di vedere e ascoltare la sua mamma. Questa non è una lettera scritta solo per “sfogarsi”, è una lettera con un mittente ben preciso: Aurora. Una lettera dalla quale emergono cose semplici: le preoccupazioni per le prime uscite serali, la protettività di una madre, le piccole fisiologiche incomprensioni.
“Perché presumo che mettere qualcosa di scritto sia anche un simbolo molto più forte rispetto alle parole, lo scritto rimane. Tutti possono parlare di tutto, di qualsiasi cosa, possono uscire delle verità come tantissime menzogne: le parole sono così. Come è capitato. Siamo pieni di leoni di tastiera, lo sappiamo tutti, scrivono nefandezze, io evito di ascoltare perché non mi sembra il caso di mettermi ai livelli di queste persone. Ho preferito rivolgermi direttamente ad Aurora”.
“Credo che in qualche modo le arrivino queste parole. Io sono una persona estremamente spirituale, estremamente credente, credo anche che ci sia un’anima, come tutti i cristiani cattolici. Aurora era una cristiana cattolica, tant’è che voleva ricominciare addirittura a frequentare l’oratorio. Credeva molto nella figura della Madonna e io credo veramente che tutto questo le arrivi. Credo che queste preghiere, anche queste lettere, queste cose scritte le arrivino. Da una parte aiutano ovviamente me come genitore, come persona adulta, ad affrontare questo grandissimo, immenso e inimmaginabile dolore. Dall’altra si spera sempre, perché poi è una speranza, che lei le possa in qualche modo vedere, percepire, sentire. Si spera che la sua anima alla fine non sia morta del tutto”.
“Tutto. Di Aurora mi manca tutto. Mi manca la sua presenza, mi manca la vita. Era la mia vita, era tutto quello che un figlio ti può dare. Era la piccola di casa, era quella che mi capiva di più, era quella che mi somigliava di più in tutto, anche come carattere e sicuramente era la più combattente. Per questo credo che abbia combattuto fino alla fine per tenere alla vita. Di questo sono certa. Mi manca la sua vita”.
Nel pronunciare queste parole, gli occhi di Morena diventano lucidi. Molti, in particolare sui social, additavano Morena con modi insopportabilmente critici, “accusandola” di non piangere mai. Come può non piangere una madre che ha appena perso una figlia?
“Quando dicevano questo di me ho sofferto. Ho sofferto tanto perché la gente parla a vanvera, come si suol dire, a vuoto. Non puoi sapere quando piango, quanto sto male, quanto sto morendo dentro, quanto tengo dentro per andare avanti e per ottenere giustizia per Aurora e per far sì che non esistano altre Aurora. Voglio lottare perché non ci siano altre bambine (perché aveva 13 anni ed è tuttora la più piccola vittima di femminicidio in Europa) a cui capiti una cosa così. Però per lottare devi anche diventare duro con te stesso e mandare giù tanti nodi dalla gola. Però il pubblico non lo vede, e al pubblico piace la lacrima”.
“Sicuramente si è affievolita, questo sì. Che sia sparita non lo posso dire. Io sono su tutti i giornali, il mio viso si vede, sono spesso in tv; quindi, le persone sanno chi sono quando mi incontrano. E credimi, anche un semplice “condoglianze”, anche se sembra stupido, fatto da una persona che non ti conosce, fa tanto. Ma non ho trovato nessuno, dei piacentini o delle donne”.
“Io non sapevo che parlasse con l’intelligenza artificiale. E se lo avessi saputo avrei comunque preso i miei provvedimenti, ti posso assicurare, anche se lo fanno tutti. Io davo orari fissi da Aurora, quando Aurora non rientrava all’orario giusto veniva sgridata. Non ho mai picchiato mia figlia perché io non concepisco le botte: concepisco il parlare. Mia figlia era molto chiusa e sono la prima a battermi la mano sul petto: sai quante volte mi chiedo “Potevo essere più attenta?”. Tutti pensano veramente che io non vada a letto con i “se” e i dubbi, con il dolore, i sensi di colpa?”.
“Io premetto che non ho neanche Instagram, uso solo il telefono e whatsapp. I social dovrebbero essere utilizzati per lavoro o comunque in modo corretto. Invece vengono utilizzati per muovere critiche a chi nemmeno le merita e per fare del male. Non puoi sapere chi c’è dall’altra parte, come agirà davanti alle tue parole. Questa gente andrebbe eliminata (dai social ndr): io nel mio piccolo spero di riuscire a bloccare i commenti. Da quando Aurora è morta sono nati quasi 200 profili con il nome e cognome di mia figlia, Tila Aurora. Ma Tila Aurora è morta, non esiste, cosa vuoi fare con quel profilo? Lo fai per avere dei follower? Che cosa becera, orribile. Io ho scelto di starne fuori”.
“Prima che Aurora venisse messa nella bara, io ho voluto vederla Aurora. E l’ho vista dopo l’autopsia, con l’impresa funebre che l’aveva già ricomposta. Ho guardato mentre la estraevano dal frigo, mentre slacciavano il sacco blu: è brutale, un dolore atroce, contro natura. Una volta estratta dal sacco, le ho dato un bacio sulla guancia, l’ho abbracciata e l’ho tenuta vicina. Poi le ho detto: “Presto ti raggiungerò”. Le dissi così perché il dolore era così forte che non sapevo quanto avrebbe resistito il mio cuore. Ebbene, dopo averla baciata, abbracciata e dopo averle parlato, dall’occhio sinistro di mia figlia è scesa una lacrima. Mi hanno spiegato che non poteva essere una lacrima di decongelamento, perché era appena uscita dal freezer”.
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