Che cosa significa descrivere un conflitto quando le bombe cadono anche sull’informazione? Olga Rudenko, editor-in-chief del Kyiv Independent e volto di copertina di TIME per il suo lavoro in Ucraina, lavora ogni giorno fra sirene e campagne di disinformazione.
La reporter e podcaster Cecilia Sala, autrice di Stories, conosce in prima persona la pressione dei regimi e l’impatto degli algoritmi sul racconto degli eventi. In dialogo, le due giornaliste svelano tecniche di verifica, rischi fisici e dilemmi etici di chi trasforma esplosioni, voci e fake-news in cronaca affidabile.
Un confronto per capire come “il fronte delle parole” sia oggi campo di battaglia decisivo quanto quello delle armi.
“Io credo che gli eventi siano talmente enormi, spaventosi e schiaccianti che il linguaggio non ha bisogno di essere sensazionalista o estremo o polarizzante. Ovviamente quando si viaggia in posti come l’Iran bisogna stare attenti alle parole che si scelgono da lì perché è un paese, è una Repubblica Islamica dove esiste un reato che noi per fortuna non conosciamo che è “pubblicità contro la Repubblica Islamica” ed è il reato per cui arrestano i giornalisti in quel paese“.
“Hanno arrestato me, ma arrestano soprattutto giornaliste e giornalisti iraniani come le due mie coetanee, giovani giornaliste di un quotidiano riformista che raccontarono al loro paese e al mondo la notizia di Mahsa Amini, la ragazza uccisa dalla polizia morale perché trovata col velo messo male in metropolitana che è una notizia che ha cambiato l’Iran e che ha portato quelle giornaliste in carcere“.
Per quanto riguarda il tuo libro: che cosa rappresenta per te “I figli dell’odio”?.
“Ha questo titolo perché sono tre giovani, in realtà un gruppo di giovanissime donne, adolescenti, tredicenni israeliane, un giovane uomo di 19 anni palestinese che è morto a 19 anni tentando di tendere un’imboscata alle truppe israeliane e un giovane ragazzo iraniano che è stata la mia ultima conversazione prima del mio arresto a Teheran. Sono persone che accompagnano il lettore dentro una storia più grande, dentro un contesto più grande che è quello della radicalizzazione, nel caso di Israele, della distruzione della Palestina, e di un Iran dove c’è una generazione di arrabbiati che è quella che vede la debolezza del proprio regime con un misto di terrore, terrore per la guerra, terrore per le bombe israeliane e americane che poi sono arrivate, e eccitazione di fronte all’ipotesi che collassi tutto quello che detesta“.
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