La ricerca presentata di recente a Bobbio sugli imprenditori che resistono perché legati alla loro terra – afferma Albasi – ci consegna una fotografia autentica dell’Appennino: territori tenuti in vita da persone che non si arrendono, ma che devono fronteggiare spopolamento, perdita di servizi, isolamento infrastrutturale e una crescente fragilità economica e demografica. È un quadro che richiede risposte vere, non provvedimenti deboli o incompleti. E per questo diciamo con chiarezza che la legge Calderoli sulla montagna non basta.
Albasi sottolinea anche la realtà statistica: «La legge 991/1952 definisce i comuni montani e parzialmente montani in Italia. Oggi ci sono oltre 5.000 comuni montani o parzialmente montani su un totale di 7.904 comuni. Dobbiamo essere franchi: le istituzioni vogliono davvero fare il passo decisivo o, come scrive Brunetta nel rapporto del CNEL, accompagnare la montagna italiana al naturale declino? In decenni di rapporti, incontri e convegni, i risultati sono stati pressoché nulli».
Albasi ricorda i tanti appelli del compianto Luigi Bertuzzi, storico sindaco di Coli, sull’attuazione della legge sulla montagna del 1994: “Appelli purtroppo caduti nel nulla, come tanti altri negli anni. La montagna non vuole assistenzialismo, vuole rispetto, politiche vere e di prospettiva, non mance a ridosso delle campagne elettorali” – aggiunge.
Entrando nel merito della legge Calderoli, Albasi osserva: «Lo dico con rispetto, ma con assoluta franchezza: una riforma che continua a ragionare solo in base all’altitudine non può essere la risposta ai problemi dell’Appennino. L’altimetria è un criterio del 1952, non del 2025. La fragilità oggi è molto più complessa: spopolamento, mancanza di servizi, isolamento, perdita di imprese. La nuova legge risulta però sbilanciata e pensata solo per le Alpi, ignorando l’alta percentuale di territori appenninici del nostro Paese, proponendo una riduzione dei comuni attualmente montani che, per il piacentino, porterebbe la perdita delle attuali agevolazioni a territori come Alta Val Tidone, Bobbio, Cortebrugnatella, Piozzano, Travo, Bettola, Gropparello e Vernasca. Per questi comuni saranno tempi bui. Tutto ciò avviene mentre la legge stanzia appena 200 milioni di euro su tutti i capitoli, dalla sanità al welfare fino alle imprese. Con questa “mancia” il governo pensa davvero di rilanciare la montagna?».
Per poter ripopolare davvero la montagna – aggiunge Albasi – servono lavoro e servizi. Lavorare in montagna è molto più penalizzante rispetto alla pianura e lo Stato dovrebbe rivedere radicalmente credito d’imposta e agevolazioni fiscali per le aziende montane. Come istituzioni abbiamo il dovere di parlare ai giovani e soprattutto creare le condizioni perché altri giovani arrivino.
Albasi ricorda inoltre che esiste già una legge dello Stato – la disciplina delle ZES, Zone Economiche Speciali – che dimostra come lo Stato possa intervenire con misure forti a sostegno delle aree svantaggiate. Ne è prova che, appena prima delle recenti elezioni per il Consiglio regionale delle Marche, il Governo abbia inserito l’intera regione in Zona ZES. “Se lo si è potuto fare per le Marche – afferma Albasi – non si capisce perché non si possano prevedere strumenti analoghi anche per aiutare chi vive e lavora nella montagna emiliana”.
Sui trasferimenti statali ai comuni montani, Albasi segnala come oggi rimanga in vigore l’IVA al 22%, un peso notevole per gli enti locali già in difficoltà, che dovrebbe invece essere agevolata. Tra le proposte Albasi indica anche: la creazione di una “Università della Montagna”, con percorsi dedicati ad agricoltura, gestione del territorio, dissesto idrogeologico e innovazione rurale; agevolazioni per quegli agricoltori che, oltre a produrre in aree già svantaggiate, svolgono un ruolo essenziale nella manutenzione del territorio – canali, fossi, versanti – contribuendo a prevenire frane e alluvioni, fenomeni sempre più frequenti nelle aree interne e appenniniche; politiche strutturate per riportare giovani in Appennino, senza i quali la montagna non ha futuro – considerando la necessità di ridurre la burocrazia per aziende e agricoltori.
Albasi sottolinea anche il lavoro svolto nelle Commissioni Territorio e Bilancio della Regione Emilia-Romagna, di cui è membro, insieme ai colleghi delegati e all’assessore alla Montagna Baruffi, che hanno portato a casa nel nuovo bilancio preventivo regionale 2026-28 un capitolo rilevante riguardante la montagna, con il Fondo dedicato che cresce fino a 24 milioni nel triennio, pari a un aumento del 20%. «Questi sforzi – spiega Albasi – sono fondamentali, ma non possono sostituire una politica nazionale adeguata».
Albasi ricorda inoltre la nascita di un nuovo gruppo di lavoro in Consiglio regionale, composto da rappresentanti di diverse province e di cui lui stesso fa parte, con l’obiettivo di costruire un fronte comune sui problemi della montagna. “Proprio per questo ho scelto di partecipare anche all’intergruppo regionale dedicato alla demografia, perché il tema dello spopolamento è ormai centrale e richiede risposte coordinate”.
Il Consigliere regionale conclude con un forte appello: «Gli imprenditori che resistono, i cittadini che restano, le famiglie che scelgono di vivere in Appennino meritano scelte vere. Non bastano convegni, dichiarazioni d’intenti o provvedimenti simbolici. Serve approvare la fiscalità di vantaggio, correggere la legge Calderoli, sostenere concretamente le aree interne. La montagna non chiede elemosina: chiede rispetto, strategie e coraggio. E noi continueremo a pretenderli».
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